Il concetto di giustizia che ha ispirato per millenni la nostra cultura, deriva da due visioni del mondo antico, la prima greco-latino ed ebraico-cristiano, la seconda con il paradigma umanistico. Nel mondo greco-latino dominava la concezione retributiva della pena dove la giustizia è vista come la retribuzione della giusta pena. In questa logica, dove ad un peccato si attribuisce una pena che possa colmare ciò che il peccato ha svuotato, si cerca di riparare all’ingiustizia rendendo a sua volta giustizia. Se dunque primordialmente c’era il sangue che chiamava sangue, la cosiddetta legge del taglione, secondo la quale chi subiva un danno o un’offesa aveva il diritto di infliggere lo stesso alla persona che in prima persona aveva commesso il peccato, si cerca di ripagare il sangue con il sangue, come espressione del principio di reciprocità. Alla base del modello retributivo sta il fatto che la pena deve essere proporzionale all’entità del reato commesso. Anche nella cultura occidentale ebraico-cristiana ritroviamo questa logica: l’idea di giustizia nell'ebraismo si esprime tramite la credenza che il buono sia ricompensato con il bene e il malvagio con il male. Il diritto penale moderno si basa proprio su questa visione arcaica che fonda le proprie radici nella mitologia e nella religione. Il secondo modello rieducativo invece, fonda le sue radici nel paradigma umanistico. Si delinea in questo modello il principio della rieducazione, correzione e terapia della pena. Il trattamento correttivo è la prassi di questo modello e il carcere diviene il luogo dove nella teoria dovrebbe avvenire la riabilitazione del soggetto reo. Da questi due modelli principali nascono la logica e le prassi che vengono applicate nel diritto penale odierno. Il carcere è oggi la principale consuetudine e corrispettivo del principio di reciprocità che gli Stati moderni utilizzano per riparare il legame che si è rotto tra la società e l’individuo reo. Uno dei principali dibattiti a proposito della giustizia è incentrata sul sistema carcerario, visto come contenitore di soggetti devianti, allontanati e relegati in zone isolate, il quale ha il compito di ricucire il legame spezzato, riabilitare e rieducare i soggetti devianti per reinserirli all’interno della società. E’ necessario chiedersi se i sistemi che oggi si mettono in pratica per riabilitare i soggetti rei siano idonei per il loro scopo originario. Se lo scopo del sistema carcerario è quello di riabilitare il soggetto deviante attualmente indagando i dati a proposito della recidiva, possiamo affermare che il sistema non funziona come dovrebbe e non tiene conto del soggetto che, prima ancora di essere reo, è un essere umano, dotato di uguale dignità di qualsiasi cittadino di una determinata società. Principio fondamentale, riportato nella Dichiarazione universale dei diritti umani e sulla Carta Costituzionale è il concetto di dignità (inserire gli articoli e definizioni). Il carcere oggi come ieri, non tiene conto della dignità dei detenuti, tantomeno assolve i compiti di rieducazione e riabilitazione dei soggetti. Se il punto di partenza del sistema è il riconoscimento della dignità personale, per rispondere alla devianza è necessario uno strumento che sia idoneo a riconoscere la dignità delle persone e che punti alla ricostruzione del legame sociale spezzato nel momento in cui il soggetto ha commesso il reato. Questa è la sfida che si pone la restorative justice.
La Giustizia riparativa: una critica sul sistema penitenziario odierno e i nuovi modelli di trattamento della pena
Baratto, Silvia
2020/2021
Abstract
Il concetto di giustizia che ha ispirato per millenni la nostra cultura, deriva da due visioni del mondo antico, la prima greco-latino ed ebraico-cristiano, la seconda con il paradigma umanistico. Nel mondo greco-latino dominava la concezione retributiva della pena dove la giustizia è vista come la retribuzione della giusta pena. In questa logica, dove ad un peccato si attribuisce una pena che possa colmare ciò che il peccato ha svuotato, si cerca di riparare all’ingiustizia rendendo a sua volta giustizia. Se dunque primordialmente c’era il sangue che chiamava sangue, la cosiddetta legge del taglione, secondo la quale chi subiva un danno o un’offesa aveva il diritto di infliggere lo stesso alla persona che in prima persona aveva commesso il peccato, si cerca di ripagare il sangue con il sangue, come espressione del principio di reciprocità. Alla base del modello retributivo sta il fatto che la pena deve essere proporzionale all’entità del reato commesso. Anche nella cultura occidentale ebraico-cristiana ritroviamo questa logica: l’idea di giustizia nell'ebraismo si esprime tramite la credenza che il buono sia ricompensato con il bene e il malvagio con il male. Il diritto penale moderno si basa proprio su questa visione arcaica che fonda le proprie radici nella mitologia e nella religione. Il secondo modello rieducativo invece, fonda le sue radici nel paradigma umanistico. Si delinea in questo modello il principio della rieducazione, correzione e terapia della pena. Il trattamento correttivo è la prassi di questo modello e il carcere diviene il luogo dove nella teoria dovrebbe avvenire la riabilitazione del soggetto reo. Da questi due modelli principali nascono la logica e le prassi che vengono applicate nel diritto penale odierno. Il carcere è oggi la principale consuetudine e corrispettivo del principio di reciprocità che gli Stati moderni utilizzano per riparare il legame che si è rotto tra la società e l’individuo reo. Uno dei principali dibattiti a proposito della giustizia è incentrata sul sistema carcerario, visto come contenitore di soggetti devianti, allontanati e relegati in zone isolate, il quale ha il compito di ricucire il legame spezzato, riabilitare e rieducare i soggetti devianti per reinserirli all’interno della società. E’ necessario chiedersi se i sistemi che oggi si mettono in pratica per riabilitare i soggetti rei siano idonei per il loro scopo originario. Se lo scopo del sistema carcerario è quello di riabilitare il soggetto deviante attualmente indagando i dati a proposito della recidiva, possiamo affermare che il sistema non funziona come dovrebbe e non tiene conto del soggetto che, prima ancora di essere reo, è un essere umano, dotato di uguale dignità di qualsiasi cittadino di una determinata società. Principio fondamentale, riportato nella Dichiarazione universale dei diritti umani e sulla Carta Costituzionale è il concetto di dignità (inserire gli articoli e definizioni). Il carcere oggi come ieri, non tiene conto della dignità dei detenuti, tantomeno assolve i compiti di rieducazione e riabilitazione dei soggetti. Se il punto di partenza del sistema è il riconoscimento della dignità personale, per rispondere alla devianza è necessario uno strumento che sia idoneo a riconoscere la dignità delle persone e che punti alla ricostruzione del legame sociale spezzato nel momento in cui il soggetto ha commesso il reato. Questa è la sfida che si pone la restorative justice.File | Dimensione | Formato | |
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