L’arte è sempre stata un guardare e un guardarsi, ma quella di Sherrie Levine sembra essere a tutti gli effetti un furto. A partire dalla fine degli anni Settanta l’artista americana si appropria del ready-made duchampiano ri-fotografando fotografie di opere d’arte - sia pittoriche sia, a loro volta, fotografiche - che avevano tracciato la grande Storia dell’arte, in particolare modernista. Da Walker Evans a Edward Weston, ma anche da Edgar Degas a Vincent Van Gogh, l’artista compone il suo personale “museum without walls”, inserendosi in una tradizione che, dagli inizi del XX secolo, aveva visto artisti trasformarsi in curatori, spesso nella direzione della Critica Istituzionale. La ripetizione e la copia diventano forme mnemoniche che ri-presentano un passato dalle cui maglie Levine intende però liberarsi: più che di copia, dovremmo parlare di differenza, o, citando Gilles Deleuze, di "ripetizione differente", visibile in primis nella diversa aura ma anche nella nuova autorialità di questi "After…". Se, da una parte, Levine riprende e amplia il discorso di Walter Benjamin, dall’altra, rifacendosi al tema postmodernista della "morte dell’autore", vi lega anche un discorso femminista: la sua autorialità si impone su quella degli artisti uomini (e occidentali) che avevano incarnato quella genialità romantica pensata fino ad allora come connaturata al maschile. Sherrie Levine è figlia del suo tempo, di quella Pictures Generation proclamata da Douglas Crimp; ma sembra anche possedere quella capacità predittiva propria di diversi artisti: la riproducibilità meccanica della sua fotografia non anticiperebbe la trasformazione che la teoria e la pratica femminista avrebbero conosciuto di lì a poco in una direzione cyborg? Il "post-" del postmodernismo può essere così riletto in chiave contemporanea, alla luce di un postumanesimo in cui i confini tra umano (donna) e tecnologico sono sempre più labili. L’artista sembra aver preannunciato e risposto all’appello di Rosi Braidotti: "Cyborg del mondo, unitevi!"
Gli "After..." di Sherrie Levine: la fotografia come copia. Verso un "museo senza pareti" cyberfemminista?
BRIGNOLI, MARTINA
2024/2025
Abstract
L’arte è sempre stata un guardare e un guardarsi, ma quella di Sherrie Levine sembra essere a tutti gli effetti un furto. A partire dalla fine degli anni Settanta l’artista americana si appropria del ready-made duchampiano ri-fotografando fotografie di opere d’arte - sia pittoriche sia, a loro volta, fotografiche - che avevano tracciato la grande Storia dell’arte, in particolare modernista. Da Walker Evans a Edward Weston, ma anche da Edgar Degas a Vincent Van Gogh, l’artista compone il suo personale “museum without walls”, inserendosi in una tradizione che, dagli inizi del XX secolo, aveva visto artisti trasformarsi in curatori, spesso nella direzione della Critica Istituzionale. La ripetizione e la copia diventano forme mnemoniche che ri-presentano un passato dalle cui maglie Levine intende però liberarsi: più che di copia, dovremmo parlare di differenza, o, citando Gilles Deleuze, di "ripetizione differente", visibile in primis nella diversa aura ma anche nella nuova autorialità di questi "After…". Se, da una parte, Levine riprende e amplia il discorso di Walter Benjamin, dall’altra, rifacendosi al tema postmodernista della "morte dell’autore", vi lega anche un discorso femminista: la sua autorialità si impone su quella degli artisti uomini (e occidentali) che avevano incarnato quella genialità romantica pensata fino ad allora come connaturata al maschile. Sherrie Levine è figlia del suo tempo, di quella Pictures Generation proclamata da Douglas Crimp; ma sembra anche possedere quella capacità predittiva propria di diversi artisti: la riproducibilità meccanica della sua fotografia non anticiperebbe la trasformazione che la teoria e la pratica femminista avrebbero conosciuto di lì a poco in una direzione cyborg? Il "post-" del postmodernismo può essere così riletto in chiave contemporanea, alla luce di un postumanesimo in cui i confini tra umano (donna) e tecnologico sono sempre più labili. L’artista sembra aver preannunciato e risposto all’appello di Rosi Braidotti: "Cyborg del mondo, unitevi!"File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14247/25822