Le arti marziali in Giappone vantano una tradizione antica di secoli, che nel corso degli anni si è evoluta in base ai cambiamenti sociali, politici e culturali e che ha portato queste arti a diventare, in tempi moderni, discipline orientate allo sviluppo fisico e mentale dell’individuo e non più arti combattive usate per ferire e uccidere in battaglia come era consuetudine da parte dei samurai fino al diciannovesimo secolo. La rivoluzione Meiji di fine diciannovesimo secolo portò alla caduta della classe dei samurai e a un rinnovamento del Giappone su stampo europeo e americano. Anche queste arti di combattimento, prima definite con il termine bujutsu, subirono un cambiamento concettuale che poneva un freno alla violenza e il cui nuovo obiettivo era lo sviluppo fisico e mentale dell’individuo. Questo cambiamento è stato possibile soprattutto grazie al contributo di Kanō Jigorō, fondatore del judō, che contribuì a modificare il termine bujutsu in budō, a rappresentare la nuova ricerca della “via” e l’aspetto più filosofico di queste nuove arti. In seguito, nel corso del ventesimo secolo, le arti del budō (judō, aikidō, kendō, sumo, karate, ecc.) si sono ampiamente diffuse in tutto il mondo e, entrando in contatto con realtà sociali molto diverse tra loro, in molti casi hanno subito delle modifiche per potersi adattare meglio al contesto locale. L’obiettivo di questo studio è quello di esaminare uno di questi contesti, ovvero l’Italia, e analizzare come alcune di queste arti si sono diffuse e come alcuni dei praticanti si approcciano a queste discipline. A questo proposito, le domande di ricerca sono le seguenti: in che modo queste arti si sono diffuse e adattate al contesto italiano? E come vengono percepite da coloro che le praticano? Più nello specifico, il presente studio prende in considerazione due arti molto distinte tra loro e che rappresentano ognuna un particolare aspetto del budō, ossia il judō e l’aikidō. Per rispondere a ciò, si è deciso di procedere la ricerca tramite interviste dirette ad alcuni dei maestri di ogni disciplina. In particolare, per rispondere alla seconda domanda, si è deciso di attuare un’analisi regionale, prendendo in esame solamente la regione del Veneto, e intervistando fino a sei maestri per ogni disciplina e sparsi lungo tutto il territorio regionale. Le risposte fornite indicano la presenza di idee e visioni a volte molto contrastanti tra loro, ma che presentano anche dei punti in comune, soprattutto a proposito dei benefici portati da queste discipline. Su questa base, si può osservare che, nonostante i cambiamenti e gli sviluppi di queste discipline in Italia, che in parte contrastano con il Giappone, gli obiettivi educativi e i benefici fisici e mentali attribuiti al budō sono in gran parte rispettati in entrambi i Paesi, dando così prova di riuscire a mantenere una certa essenza comune e dimostrando quindi la loro potenziale flessibilità a livello internazionale. In quest’ottica, ricerche future potrebbero quindi focalizzarsi su altre regioni italiane, oppure applicare lo stesso metodo di ricerca sul campo in altri Paesi.
Il budō in Italia: Diffusione e percezione delle arti marziali giapponesi in Italia
Milan, Sara
2024/2025
Abstract
Le arti marziali in Giappone vantano una tradizione antica di secoli, che nel corso degli anni si è evoluta in base ai cambiamenti sociali, politici e culturali e che ha portato queste arti a diventare, in tempi moderni, discipline orientate allo sviluppo fisico e mentale dell’individuo e non più arti combattive usate per ferire e uccidere in battaglia come era consuetudine da parte dei samurai fino al diciannovesimo secolo. La rivoluzione Meiji di fine diciannovesimo secolo portò alla caduta della classe dei samurai e a un rinnovamento del Giappone su stampo europeo e americano. Anche queste arti di combattimento, prima definite con il termine bujutsu, subirono un cambiamento concettuale che poneva un freno alla violenza e il cui nuovo obiettivo era lo sviluppo fisico e mentale dell’individuo. Questo cambiamento è stato possibile soprattutto grazie al contributo di Kanō Jigorō, fondatore del judō, che contribuì a modificare il termine bujutsu in budō, a rappresentare la nuova ricerca della “via” e l’aspetto più filosofico di queste nuove arti. In seguito, nel corso del ventesimo secolo, le arti del budō (judō, aikidō, kendō, sumo, karate, ecc.) si sono ampiamente diffuse in tutto il mondo e, entrando in contatto con realtà sociali molto diverse tra loro, in molti casi hanno subito delle modifiche per potersi adattare meglio al contesto locale. L’obiettivo di questo studio è quello di esaminare uno di questi contesti, ovvero l’Italia, e analizzare come alcune di queste arti si sono diffuse e come alcuni dei praticanti si approcciano a queste discipline. A questo proposito, le domande di ricerca sono le seguenti: in che modo queste arti si sono diffuse e adattate al contesto italiano? E come vengono percepite da coloro che le praticano? Più nello specifico, il presente studio prende in considerazione due arti molto distinte tra loro e che rappresentano ognuna un particolare aspetto del budō, ossia il judō e l’aikidō. Per rispondere a ciò, si è deciso di procedere la ricerca tramite interviste dirette ad alcuni dei maestri di ogni disciplina. In particolare, per rispondere alla seconda domanda, si è deciso di attuare un’analisi regionale, prendendo in esame solamente la regione del Veneto, e intervistando fino a sei maestri per ogni disciplina e sparsi lungo tutto il territorio regionale. Le risposte fornite indicano la presenza di idee e visioni a volte molto contrastanti tra loro, ma che presentano anche dei punti in comune, soprattutto a proposito dei benefici portati da queste discipline. Su questa base, si può osservare che, nonostante i cambiamenti e gli sviluppi di queste discipline in Italia, che in parte contrastano con il Giappone, gli obiettivi educativi e i benefici fisici e mentali attribuiti al budō sono in gran parte rispettati in entrambi i Paesi, dando così prova di riuscire a mantenere una certa essenza comune e dimostrando quindi la loro potenziale flessibilità a livello internazionale. In quest’ottica, ricerche future potrebbero quindi focalizzarsi su altre regioni italiane, oppure applicare lo stesso metodo di ricerca sul campo in altri Paesi.File | Dimensione | Formato | |
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