Questa tesi analizza criticamente il sistema dei padiglioni della Gwangju Biennale, introdotto nel 2018, collocandolo nei più ampi dibattiti sui formati delle biennali e sulle loro implicazioni geopolitiche. Mentre la Biennale di Venezia si basa da tempo sulla struttura dei padiglioni nazionali come modello fondativo di rappresentazione, l’adozione di un sistema simile a Gwangju è emersa da circostanze pragmatiche piuttosto che da una tradizione ereditata. Attraverso analisi storiche, documenti istituzionali, interviste e studio comparativo, la ricerca ricostruisce la genesi, le motivazioni e le funzioni in evoluzione del Padiglione di Gwangju. Sviluppi istituzionali recenti, come l’annuncio nel 2024 della creazione di una sala permanente dedicata ai padiglioni, sottolineano ulteriormente l’attualità di questa indagine. Il Capitolo 1 delinea principi fondativi e missione, legati all’eredità democratica di Gwangju dopo il 1980 e alle politiche culturali coreane che promuovono la globalizzazione. Mostra come la Biennale abbia sviluppato la propria identità bilanciando impegni locali e aspirazioni globali, diventando punto di riferimento per strategie istituzionali successive. In un panorama con oltre venti biennali nazionali, questo lavoro identitario ha favorito la ricerca di distinzione strategica e preparato il terreno per l’introduzione del sistema dei Padiglioni. Il Capitolo 2 esamina le spinte curatoriali e istituzionali, mostrando come uno schema sperimentale nato per favorire collaborazioni artistiche si sia evoluto in un meccanismo per aumentare la visibilità internazionale e costruire reti esterne. Il Capitolo 3 propone un confronto con la Biennale di Venezia, tracciando lo sviluppo storico dei padiglioni nazionali e accostando le loro dimensioni simboliche e geopolitiche al modello più flessibile della Gwangju Biennale. Mentre Venezia incarna tradizionalmente la sovranità culturale statale, Gwangju funziona come piattaforma per collaborazioni transnazionali, piuttosto che come sito di gerarchia fissa. Il Capitolo 4 analizza le implicazioni strategiche del sistema dei Padiglioni di Gwangju, evidenziandone il potenziale come strumento di diplomazia culturale e di city branding legato alla visione della “Hub City of Asian Culture”. Al tempo stesso mette in luce le contraddizioni tra diplomazia cittadina e indipendenza curatoriale, stabilità e dispersione, interrogandone la sostenibilità futura di fronte a rischi istituzionali e concettuali. Questa ricerca è necessaria perché il Padiglione della Gwangju Biennale ha ricevuto poca attenzione accademica nonostante la sua crescente visibilità. Offrendo il primo studio approfondito di questo sistema, la tesi chiarisce come esso rifletta una differenziazione strategica nel paesaggio affollato delle biennali coreane e una risposta alle dinamiche culturali globali. Come contributo originale, propone un modello “Ancora e Rete”: una base permanente per stabilità e memoria istituzionale combinata con una rete di siti temporanei che preservano flessibilità e dinamismo critico. Lo studio contribuisce inoltre alla discussione su come le biennali negozino tra identità locale, visibilità globale e posizionamento geopolitico, e conclude che il sistema dei Padiglioni, pur prezioso come formato sperimentale di diplomazia culturale, necessita di una ridefinizione e di un’ibridazione attenta per rimanere sostenibile nell’ecologia in evoluzione delle biennali internazionali.
This thesis critically examines the pavilion system of the Gwangju Biennale, introduced in 2018, situating it within broader debates on biennale formats and their geopolitical implications. While the Venice Biennale has long relied on the national pavilion structure as a foundation model of representation, the Gwangju Biennale’s adoption of a similar system emerged from pragmatic circumstances rather than from an inherited tradition. Through historical analysis, institutional documents, fieldwork interviews, and comparative study, this research reconstructs the genesis, motivations, and evolving functions of the Gwangju Biennale Pavilion. Recent institutional developments, such as the permanent pavilion hall announced in 2024, further underline the timeliness of this investigation. Chapter 1 outlines the founding principles and mission of the Gwangju Biennale, contextualised by its role in post-1980 Gwangju’s democratisation legacy and Korea’s cultural policies promoting globalisation. It further examines how the Biennale developed its identity, balancing local commitments and global aspirations, and how this became the standard reference point for its subsequent institutional strategies. Within the dense landscape of more than twenty domestic biennales, this identity work also underpinned its search for strategic distinction and provided fertile ground for the later introduction of the Pavilion system. Chapter 2 investigates the curatorial and institutional drivers. It shows how an experimental scheme, initially designed to foster artistic collaborations, gradually evolved to a strategic mechanism aimed at enhancing international visibility and building external networks. Insights from field work and interviews reveal both the opportunities it generated and the operational challenges it faced. Chapter 3 develops a comparative framework with the Venice Biennale, tracing the historical development of national pavilions in Venice and juxtaposing their symbolic, structural, and geopolitical dimensions with Gwangju Biennale’s more flexible and institutionally mediated model. While Venice Biennale traditionally embodies state- based cultural sovereignty, Gwangju Biennale operates as a flexible platform for transnational collaboration, rather than a site of fixed hierarchy. Chapter 4 analyses the strategic and geopolitical implications of the Gwangju Biennale Pavilion System, highlighting its potential as a tool of cultural diplomacy and city 6branding under the “Hub City of Asian Culture” vision. At the same time, it foregrounds the contradictions the system embodies—between city diplomacy and curatorial independence, stability and dispersion—and questions its long-term sustainability in light of institutional, structural, and conceptual risks. This research is necessary because the Gwangju Biennale Pavilion has received little scholarly attention despite its growing visibility in global art discourse. By offering the first in-depth study of this system, the thesis clarifies how it reflects both strategic differentiation within Korea’s crowded biennale landscape and a broader response to shifting global cultural dynamics. As its original contribution, it proposes an “Anchor and Network” model: a hybrid framework combining a permanent base to provide stability and institutional memory with a dispersed network of temporary sites that preserve flexibility, site-specificity, and critical dynamism. The study contributes to discussions on how biennales negotiate between local identity, global visibility, and geopolitical positioning, and concludes that the Pavilion system, while valuable as an experimental format of cultural diplomacy, requires careful redefinition and hybridisation if it is to remain sustainable in the evolving ecology of international biennales.
A Critical Examination of the Pavilion System at the Gwangju Biennale
AHN, SOYEON
2024/2025
Abstract
Questa tesi analizza criticamente il sistema dei padiglioni della Gwangju Biennale, introdotto nel 2018, collocandolo nei più ampi dibattiti sui formati delle biennali e sulle loro implicazioni geopolitiche. Mentre la Biennale di Venezia si basa da tempo sulla struttura dei padiglioni nazionali come modello fondativo di rappresentazione, l’adozione di un sistema simile a Gwangju è emersa da circostanze pragmatiche piuttosto che da una tradizione ereditata. Attraverso analisi storiche, documenti istituzionali, interviste e studio comparativo, la ricerca ricostruisce la genesi, le motivazioni e le funzioni in evoluzione del Padiglione di Gwangju. Sviluppi istituzionali recenti, come l’annuncio nel 2024 della creazione di una sala permanente dedicata ai padiglioni, sottolineano ulteriormente l’attualità di questa indagine. Il Capitolo 1 delinea principi fondativi e missione, legati all’eredità democratica di Gwangju dopo il 1980 e alle politiche culturali coreane che promuovono la globalizzazione. Mostra come la Biennale abbia sviluppato la propria identità bilanciando impegni locali e aspirazioni globali, diventando punto di riferimento per strategie istituzionali successive. In un panorama con oltre venti biennali nazionali, questo lavoro identitario ha favorito la ricerca di distinzione strategica e preparato il terreno per l’introduzione del sistema dei Padiglioni. Il Capitolo 2 esamina le spinte curatoriali e istituzionali, mostrando come uno schema sperimentale nato per favorire collaborazioni artistiche si sia evoluto in un meccanismo per aumentare la visibilità internazionale e costruire reti esterne. Il Capitolo 3 propone un confronto con la Biennale di Venezia, tracciando lo sviluppo storico dei padiglioni nazionali e accostando le loro dimensioni simboliche e geopolitiche al modello più flessibile della Gwangju Biennale. Mentre Venezia incarna tradizionalmente la sovranità culturale statale, Gwangju funziona come piattaforma per collaborazioni transnazionali, piuttosto che come sito di gerarchia fissa. Il Capitolo 4 analizza le implicazioni strategiche del sistema dei Padiglioni di Gwangju, evidenziandone il potenziale come strumento di diplomazia culturale e di city branding legato alla visione della “Hub City of Asian Culture”. Al tempo stesso mette in luce le contraddizioni tra diplomazia cittadina e indipendenza curatoriale, stabilità e dispersione, interrogandone la sostenibilità futura di fronte a rischi istituzionali e concettuali. Questa ricerca è necessaria perché il Padiglione della Gwangju Biennale ha ricevuto poca attenzione accademica nonostante la sua crescente visibilità. Offrendo il primo studio approfondito di questo sistema, la tesi chiarisce come esso rifletta una differenziazione strategica nel paesaggio affollato delle biennali coreane e una risposta alle dinamiche culturali globali. Come contributo originale, propone un modello “Ancora e Rete”: una base permanente per stabilità e memoria istituzionale combinata con una rete di siti temporanei che preservano flessibilità e dinamismo critico. Lo studio contribuisce inoltre alla discussione su come le biennali negozino tra identità locale, visibilità globale e posizionamento geopolitico, e conclude che il sistema dei Padiglioni, pur prezioso come formato sperimentale di diplomazia culturale, necessita di una ridefinizione e di un’ibridazione attenta per rimanere sostenibile nell’ecologia in evoluzione delle biennali internazionali.| File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14247/27023