Il welfare state rappresenta un elemento centrale nel dibattito economico, sociale e politico, poiché racchiude quell’insieme di politiche e istituzioni pubbliche che hanno come obiettivo la tutela dei cittadini e la garanzia di equità e sicurezza. La sua affermazione in Europa, a partire dalla seconda metà del Novecento, ha permesso la riduzione delle disuguaglianze e il rafforzamento della coesione sociale, assicurando al tempo stesso diritti fondamentali in ambiti cruciali come la sanità, la previdenza, l’istruzione e l’assistenza. Anche in Italia questo modello si è progressivamente consolidato, attraverso l’adozione di un sistema ibrido che combina elementi assicurativi e universalistici, capace per decenni di offrire prestazioni e di svolgere una funzione di inclusione ai propri cittadini. Col passare del tempo, però, questo equilibrio ha mostrato segni di debolezza. Le trasformazioni demografiche, con l’invecchiamento della popolazione e il calo della natalità, hanno messo sotto pressione il sistema pensionistico e aumentato i bisogni di cura e assistenza. Allo stesso modo, i profondi mutamenti del mercato del lavoro, sempre più segnato da precarietà e discontinuità, hanno reso meno lineari i percorsi contributivi, riducendo la capacità di protezione del sistema. Inoltre, le crisi economiche e finanziarie hanno comportato politiche di contenimento della spesa pubblica e conseguenti ridimensionamenti nelle prestazioni garantite, ampliando le disparità territoriali e sociali. Tutti questi fattori hanno alimentato un diffuso senso di inadeguatezza del modello tradizionale, sollevando dubbi sulla sua sostenibilità e aprendo un dibattito sempre più intenso sulla necessità di soluzioni complementari. È in questo scenario che si colloca la diffusione del welfare aziendale. Le sue origini risalgono alle prime forme di assistenza promosse dagli imprenditori nell’Ottocento, quando venivano offerti ai lavoratori servizi come alloggi, cure o scuole, spesso in un’ottica paternalistica e con finalità limitate. Oggi, invece, il welfare aziendale è un fenomeno strutturato, disciplinato da norme e incentivi fiscali e integrato nella contrattazione collettiva. Esso comprende un insieme di prestazioni e servizi che le imprese, su base volontaria o negoziata, mettono a disposizione dei propri dipendenti e delle loro famiglie: dall’assistenza sanitaria integrativa alla previdenza complementare, dalle misure di conciliazione tra vita e lavoro al sostegno alla genitorialità. Strumenti che, se ben coordinati con il sistema pubblico, possono contribuire a colmare lacune esistenti e rispondere a bisogni crescenti. La tesi si propone di valutare fino a che punto il welfare aziendale possa costituire una risorsa capace di integrare il welfare state senza sostituirlo, mettendo in luce vantaggi concreti, limiti strutturali e possibili prospettive di policy. La tesi si articola in tre capitoli: il Capitolo I ricostruisce i modelli storici ed istituzionali del welfare (modello bismarckiano e beveridgiano), le riforme italiane e le ragioni della crisi contemporanea del sistema pubblico, con particolare attenzione agli effetti demografici, alla pressione sulla spesa e alle disparità territoriali che caratterizzano il Paese. Il Capitolo II esamina l’evoluzione storica e l’inquadramento normativo del welfare aziendale in Italia: dalla sua nascita nel contesto industriale con la creazione del concetto di paternalismo aziendale, fino alla crescita degli ultimi trent’anni favorita da incentivi fiscali e dalla contrattazione collettiva. Vengono analizzate le diverse tipologie di servizi aziendali, come prestazioni sanitarie e previdenziali integrative, misure di conciliazione, servizi per il tempo libero, incentivi economici e il ruolo della contrattazione e dei sindacati nella diffusione del fenomeno.

Il Welfare aziendale come complemento alle mancanze del welfare pubblico Contributo, limiti e prospettive nel contesto italiano

PANIZZO, VERONICA
2024/2025

Abstract

Il welfare state rappresenta un elemento centrale nel dibattito economico, sociale e politico, poiché racchiude quell’insieme di politiche e istituzioni pubbliche che hanno come obiettivo la tutela dei cittadini e la garanzia di equità e sicurezza. La sua affermazione in Europa, a partire dalla seconda metà del Novecento, ha permesso la riduzione delle disuguaglianze e il rafforzamento della coesione sociale, assicurando al tempo stesso diritti fondamentali in ambiti cruciali come la sanità, la previdenza, l’istruzione e l’assistenza. Anche in Italia questo modello si è progressivamente consolidato, attraverso l’adozione di un sistema ibrido che combina elementi assicurativi e universalistici, capace per decenni di offrire prestazioni e di svolgere una funzione di inclusione ai propri cittadini. Col passare del tempo, però, questo equilibrio ha mostrato segni di debolezza. Le trasformazioni demografiche, con l’invecchiamento della popolazione e il calo della natalità, hanno messo sotto pressione il sistema pensionistico e aumentato i bisogni di cura e assistenza. Allo stesso modo, i profondi mutamenti del mercato del lavoro, sempre più segnato da precarietà e discontinuità, hanno reso meno lineari i percorsi contributivi, riducendo la capacità di protezione del sistema. Inoltre, le crisi economiche e finanziarie hanno comportato politiche di contenimento della spesa pubblica e conseguenti ridimensionamenti nelle prestazioni garantite, ampliando le disparità territoriali e sociali. Tutti questi fattori hanno alimentato un diffuso senso di inadeguatezza del modello tradizionale, sollevando dubbi sulla sua sostenibilità e aprendo un dibattito sempre più intenso sulla necessità di soluzioni complementari. È in questo scenario che si colloca la diffusione del welfare aziendale. Le sue origini risalgono alle prime forme di assistenza promosse dagli imprenditori nell’Ottocento, quando venivano offerti ai lavoratori servizi come alloggi, cure o scuole, spesso in un’ottica paternalistica e con finalità limitate. Oggi, invece, il welfare aziendale è un fenomeno strutturato, disciplinato da norme e incentivi fiscali e integrato nella contrattazione collettiva. Esso comprende un insieme di prestazioni e servizi che le imprese, su base volontaria o negoziata, mettono a disposizione dei propri dipendenti e delle loro famiglie: dall’assistenza sanitaria integrativa alla previdenza complementare, dalle misure di conciliazione tra vita e lavoro al sostegno alla genitorialità. Strumenti che, se ben coordinati con il sistema pubblico, possono contribuire a colmare lacune esistenti e rispondere a bisogni crescenti. La tesi si propone di valutare fino a che punto il welfare aziendale possa costituire una risorsa capace di integrare il welfare state senza sostituirlo, mettendo in luce vantaggi concreti, limiti strutturali e possibili prospettive di policy. La tesi si articola in tre capitoli: il Capitolo I ricostruisce i modelli storici ed istituzionali del welfare (modello bismarckiano e beveridgiano), le riforme italiane e le ragioni della crisi contemporanea del sistema pubblico, con particolare attenzione agli effetti demografici, alla pressione sulla spesa e alle disparità territoriali che caratterizzano il Paese. Il Capitolo II esamina l’evoluzione storica e l’inquadramento normativo del welfare aziendale in Italia: dalla sua nascita nel contesto industriale con la creazione del concetto di paternalismo aziendale, fino alla crescita degli ultimi trent’anni favorita da incentivi fiscali e dalla contrattazione collettiva. Vengono analizzate le diverse tipologie di servizi aziendali, come prestazioni sanitarie e previdenziali integrative, misure di conciliazione, servizi per il tempo libero, incentivi economici e il ruolo della contrattazione e dei sindacati nella diffusione del fenomeno.
2024
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