A partire dagli anni Novanta l’Italia è diventata un paese d’immigrazione e si è trovata a dover far fronte all’accoglienza di richiedenti protezione internazionale e rifugiati. Il sistema di accoglienza Italiano è nato prima nella pratica, nella spinta solidaristica dei cittadini e delle associazioni per arrivare poi alla sua istituzionalizzazione solo negli anni Duemila con la creazione del Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Dal 2011 in concomitanza dell’emergenza Nord Africa il numero di ingressi e delle relative domande d’asilo è cresciuto in maniera esponenziale. Secondo le stime della Fondazione ISMU in Italia nel 2016 sono stati registrati 181mila arrivi, sono state presentate 123 mila domande d’asilo e in più di 36 mila casi è stata riconosciuta una forma di protezione internazionale o umanitaria. I numeri riportati ci dimostrano la necessità di trovare delle risposte lungimiranti in merito all'accoglienza dei richiedenti asilo ma non solo. Considerata la percentuale di beneficiari di protezione internazionale o umanitaria è tempo di pensare ad una forma di “terza accoglienza” ovvero una post-accoglienza dedicata a coloro che una volta ottenuto uno status di protezione devono lasciare i centri della rete istituzionale senza avere però concluso, e in alcuni casi avviato, un percorso verso l’autonomia lavorativa, abitativa e d’inclusione sociale nelle comunità locali. Un modello innovativo che è stato sperimentato dalla rete Sprar, dal terzo settore e dal volontariato è quello dell’accoglienza in famiglia. Questa formula prevede l’inserimento del rifugiato all’interno di un contesto familiare e coinvolge la famiglia, intesa come luogo e sistema di relazioni, e la comunità nel processo di inclusione del soggetto. Diverse le esperienze attivate dal 2008 a oggi tutte con l’ambizioso obiettivo di favorire da un lato il percorso di autonomia personale, lavorativa e abitativa del beneficiario attraverso l’inclusione attiva nella comunità locale e dall'altro di offrire un’opportunità di crescita per la comunità sensibilizzandola al tema dell’asilo.
é tempo di terza accoglienza. L'inserimento in famiglia come modello per l'integrazione dei titolari protezione internazionale o umanitaria.
Caroli, Celeste
2018/2019
Abstract
A partire dagli anni Novanta l’Italia è diventata un paese d’immigrazione e si è trovata a dover far fronte all’accoglienza di richiedenti protezione internazionale e rifugiati. Il sistema di accoglienza Italiano è nato prima nella pratica, nella spinta solidaristica dei cittadini e delle associazioni per arrivare poi alla sua istituzionalizzazione solo negli anni Duemila con la creazione del Sistema di Protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Dal 2011 in concomitanza dell’emergenza Nord Africa il numero di ingressi e delle relative domande d’asilo è cresciuto in maniera esponenziale. Secondo le stime della Fondazione ISMU in Italia nel 2016 sono stati registrati 181mila arrivi, sono state presentate 123 mila domande d’asilo e in più di 36 mila casi è stata riconosciuta una forma di protezione internazionale o umanitaria. I numeri riportati ci dimostrano la necessità di trovare delle risposte lungimiranti in merito all'accoglienza dei richiedenti asilo ma non solo. Considerata la percentuale di beneficiari di protezione internazionale o umanitaria è tempo di pensare ad una forma di “terza accoglienza” ovvero una post-accoglienza dedicata a coloro che una volta ottenuto uno status di protezione devono lasciare i centri della rete istituzionale senza avere però concluso, e in alcuni casi avviato, un percorso verso l’autonomia lavorativa, abitativa e d’inclusione sociale nelle comunità locali. Un modello innovativo che è stato sperimentato dalla rete Sprar, dal terzo settore e dal volontariato è quello dell’accoglienza in famiglia. Questa formula prevede l’inserimento del rifugiato all’interno di un contesto familiare e coinvolge la famiglia, intesa come luogo e sistema di relazioni, e la comunità nel processo di inclusione del soggetto. Diverse le esperienze attivate dal 2008 a oggi tutte con l’ambizioso obiettivo di favorire da un lato il percorso di autonomia personale, lavorativa e abitativa del beneficiario attraverso l’inclusione attiva nella comunità locale e dall'altro di offrire un’opportunità di crescita per la comunità sensibilizzandola al tema dell’asilo.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/20.500.14247/2625