Fera le diverse dottrine economiche esistenti in letteratura, quella neoliberista è probabilmente la più interessante ed avvincente sia dal punto di vista del suo sviluppo storico, sia per gli effetti che ha prodotto. In questo capitolo si approfondisce il neoliberismo, il cui padre è considerato Adam Smith, in una analisi parallela con la dottrina antagonista che esso va a sostituire, ovvero quella keynesiana, formulata da John Maynard Keynes. Quest’ultima era basata sul principio che lo Stato dovesse intervenire nell’economia per aiutarla, soprattutto nelle fasi di crisi, con azioni legislative ad hoc tese a ridurre la disoccupazione e ad aiutare i mercati. È stata questa, in effetti, il modello predominante fino all’emergere del neoliberismo che ha ribaltato il modo di concepire l’economia e il ruolo dello Stato. L’analisi condotta si incentra, dunque, sulle due predette dottrine che postulavano in maniera opposta soprattutto con riferimento all’intervento dello Stato e alla fiducia dell’iniziativa individuale: mentre il principio keynesiano era legato alla presenza del potere pubblico in tutte le fasi dell’economia secondo il classico sistema assistenzialistico-paternalistico, al contrario il modello liberista era ostile a ogni intervento pubblico nella sfera economica, sostenendo l’iniziativa del singolo e la capacità dei mercati di agire in maniera spontanea. Una vera e propria rivoluzione, dunque, che esplose tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta in Europa e in America, con i due Paesi apripista, l’Inghilterra di Margareth Thatcher e gli Stati Uniti di Ronald Reagan che attuarono nei rispettivi Paesi delle profonde riforme sostituendo il sistema keynesiano con quello neoliberista: seguirà su questa linea, negli anni novanta, il neoliberismo italiano attuato da Silvio Berlusconi attraverso il cosiddetto berlusconismo. L’input al rinnovamento venne dalla crisi profonda che il mondo si trovò ad attraversare negli anni settanta e a cui il modello keynesiano non era riuscito a rispondere adeguatamente. Si richiedevano scelte radicali ed urgenti e due leader politici anglosassoni colsero l’occasione per realizzare una delle più profonde trasformazioni economiche, adottando, nelle rispettive economie, il nuovo modello neoliberista emergente, preferito al precedente perché lasciava respirare l’iniziativa economica. Tale riforma portò, effettivamente, buoni risultati nell’immediato anche se, come si avrà modo di approfondire, non resse nel medio-lungo periodo, mostrando i suoi limiti.

IL NEOLIBERISMO. UN’ANALISI COMPARATA FRA IL MODELLO ANGLOSASSONE E QUELLO ITALIANO: L’INGHILTERRA DI MARGARETH THATCHER E L’ITALIA DI SILVIO BERLUSCONI

COLONNA, GIACOMO
2024/2025

Abstract

Fera le diverse dottrine economiche esistenti in letteratura, quella neoliberista è probabilmente la più interessante ed avvincente sia dal punto di vista del suo sviluppo storico, sia per gli effetti che ha prodotto. In questo capitolo si approfondisce il neoliberismo, il cui padre è considerato Adam Smith, in una analisi parallela con la dottrina antagonista che esso va a sostituire, ovvero quella keynesiana, formulata da John Maynard Keynes. Quest’ultima era basata sul principio che lo Stato dovesse intervenire nell’economia per aiutarla, soprattutto nelle fasi di crisi, con azioni legislative ad hoc tese a ridurre la disoccupazione e ad aiutare i mercati. È stata questa, in effetti, il modello predominante fino all’emergere del neoliberismo che ha ribaltato il modo di concepire l’economia e il ruolo dello Stato. L’analisi condotta si incentra, dunque, sulle due predette dottrine che postulavano in maniera opposta soprattutto con riferimento all’intervento dello Stato e alla fiducia dell’iniziativa individuale: mentre il principio keynesiano era legato alla presenza del potere pubblico in tutte le fasi dell’economia secondo il classico sistema assistenzialistico-paternalistico, al contrario il modello liberista era ostile a ogni intervento pubblico nella sfera economica, sostenendo l’iniziativa del singolo e la capacità dei mercati di agire in maniera spontanea. Una vera e propria rivoluzione, dunque, che esplose tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta in Europa e in America, con i due Paesi apripista, l’Inghilterra di Margareth Thatcher e gli Stati Uniti di Ronald Reagan che attuarono nei rispettivi Paesi delle profonde riforme sostituendo il sistema keynesiano con quello neoliberista: seguirà su questa linea, negli anni novanta, il neoliberismo italiano attuato da Silvio Berlusconi attraverso il cosiddetto berlusconismo. L’input al rinnovamento venne dalla crisi profonda che il mondo si trovò ad attraversare negli anni settanta e a cui il modello keynesiano non era riuscito a rispondere adeguatamente. Si richiedevano scelte radicali ed urgenti e due leader politici anglosassoni colsero l’occasione per realizzare una delle più profonde trasformazioni economiche, adottando, nelle rispettive economie, il nuovo modello neoliberista emergente, preferito al precedente perché lasciava respirare l’iniziativa economica. Tale riforma portò, effettivamente, buoni risultati nell’immediato anche se, come si avrà modo di approfondire, non resse nel medio-lungo periodo, mostrando i suoi limiti.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14247/25584