"The Silent Symphony of Snow: Snow and Time in Twentieth Century Literature"

In the 20th century, crumbling conceptual pillars leave in the wake of their dissolution a sense of loss so profound it might risk reducing any desire for answers or meaning to nihilistic surrender. Perhaps only in the "nearly experienced" of literature is there hope of "approaching" a truth, one that firmly resides beyond reach, beyond conscious processing. In those "primordial figures, whose bodies are only images" we might glimpse an irredeemably fragmented world rendered whole once again. Snow might just be such an image, a "blind white void" allowing us in literature, if not in life, to experience an "epiphany", an instant of Knowing profound and total, but as fleeting as a snowflake melting to nothing in the palm of our hands. Perhaps, through snow, authors such as Joyce, Mann, Aiken and Kawabata show in different ways that the world might not be as hopelessly shattered as it might seem, but that the answers we seek, too grand and indefinite to be constrained by the finite medium of language, are not for us to hold on to, but only approached through those "images" that grant a moment of "sudden illumination". A question still remains, one which is destined to persist unanswered, and a new epistemological axis around which all revolves: "What does it mean to not remember the end of a dream, and yet to remember there was an end, but one which you have forgotten?".

Nel ventesimo secolo il crollo di ogni certezza lascia un vuoto che rischia di essere totale e proibitivo, che minaccia l’essenza stessa dell’arte e della parola. Un’idea emerge, che in ciò di cui si fa “quasi esperienza” nella letteratura vi sia speranza di avvicinarsi ad una verità, la quale rimane fermamente fuori dalla nostra portata, al di là di coscienza e conoscenza. In un mondo di frammenti, forse solo in “figure primordiali, delle quali i corpi non sono che immagini” possiamo intravedere una totalità. La neve è tale figura, un “vuoto bianco e cieco” che ci permette, nella letteratura ma non nella vita, di fare esperienza dell’epifania joyceiana, un istante di conoscenza profonda e totale, ma che, come un fiocco di neve nel palmo della mano, si scioglie inesorabilmente in nulla. Sembrerebbe che attraverso la neve autori come Joyce, Mann, Aiken, e Kawabata abbiano voluto suggerire l’esistenza di un mondo meno frammentato di quanto le tendenze nichilistiche abbiano voluto suggerire, ma che le risposte che cerchiamo, troppo complesse e indefinite per essere espresse a parole, non conseguibili totalmente, vadano malgrado ciò perseguite in immagini in grado di procurare solo istanti di “illuminazione momentanea”. Una sola domanda permane, perno epistemologico di un nuovo modo di approcciare la letteratura: “Cosa significa non ricordare la conclusione di un sogno, eppure ricordare che una fine c’è stata, ma una fine che si è dimenticata?”.