La mia tesi si concentra sul sistema della beneficenza messa in campo da due particolari Onlus per cui ho lavorato come dialogatrice umanitaria per conto di un'agenzia privata nella città di Roma. Nell'arco di un mese di lavoro, grazie allo strumento dell'etnografia coperta, analizzerò le dinamiche lavorative e i rapporti di potere esistenti all'interno del mio luogo di lavoro chiedendomi come i dispositivi continuamente intrecciati del merito e del debito agiscono sul corpo e sulle aspettative, spesso tradite, degli stessi dialogatori. E' possibile descrivere quei meccanismi, a prima vista naturalizzati, che legano il lavoratore al proprio posto di lavoro in un rapporto di fidelizzazione perversa, a fronte di guadagni e tutele quasi inesistenti? Attraverso quali tecniche di marketing i dialogatori riescono a convincere migliaia di persone a sostenere un progetto umanitario? Come avviene il processo di soggettivazione e, chissà, di de-soggettivazione del dialogatore umanitario dopo un'esperienza nel settore della beneficenza? Chi sono e cosa desiderano questi giovani lavoratori? E' possibile fare un'etnografia della beneficenza? Grazie allo strumento dell'intervista scoperta ad alcuni ex colleghi di lavoro, e a quello dell'osservazione partecipante, raccoglierò le possibili risposte date dalle diverse figure incontrate durante il mio studio, nei tanti luoghi attraversati della città di Roma.

Lavorare per beneficenza Un'etnografia della precarietà tra i dialogatori umanitari

Vicentini, Zoe
2017/2018

Abstract

La mia tesi si concentra sul sistema della beneficenza messa in campo da due particolari Onlus per cui ho lavorato come dialogatrice umanitaria per conto di un'agenzia privata nella città di Roma. Nell'arco di un mese di lavoro, grazie allo strumento dell'etnografia coperta, analizzerò le dinamiche lavorative e i rapporti di potere esistenti all'interno del mio luogo di lavoro chiedendomi come i dispositivi continuamente intrecciati del merito e del debito agiscono sul corpo e sulle aspettative, spesso tradite, degli stessi dialogatori. E' possibile descrivere quei meccanismi, a prima vista naturalizzati, che legano il lavoratore al proprio posto di lavoro in un rapporto di fidelizzazione perversa, a fronte di guadagni e tutele quasi inesistenti? Attraverso quali tecniche di marketing i dialogatori riescono a convincere migliaia di persone a sostenere un progetto umanitario? Come avviene il processo di soggettivazione e, chissà, di de-soggettivazione del dialogatore umanitario dopo un'esperienza nel settore della beneficenza? Chi sono e cosa desiderano questi giovani lavoratori? E' possibile fare un'etnografia della beneficenza? Grazie allo strumento dell'intervista scoperta ad alcuni ex colleghi di lavoro, e a quello dell'osservazione partecipante, raccoglierò le possibili risposte date dalle diverse figure incontrate durante il mio studio, nei tanti luoghi attraversati della città di Roma.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14247/20421