La tesi si propone di affrontare il tema dell’apolidia, ovvero la circostanza di vita di coloro che non sono considerati cittadini dalla legislazione di alcuno Stato. Nel corso del Novecento, questo fenomeno ha raggiunto la sua massima manifestazione e ancora oggi si stimano 10 milioni di persone apolidi nel mondo, perché molte legislazioni nazionali sulla cittadinanza prevedono ancora disposizioni discriminatorie: ad esempio, la donna è impossibilitata nel trasmettere la propria cittadinanza al figlio. Più precisamente, la maggior parte delle popolazioni apolidi si sono formate in seguito alla dissoluzione di Stati, ad esempio, dell’ex Jugoslavia o dell’ex Unione Sovietica; oppure, sono persone divenute apolidi in seguito a conflitti armati, ad esempio, originarie dei territori palestinesi occupati da Israele, o dei territori dell’Eritrea e dell’Etiopia. L’apolidia è originata dall'azione dei governi ed è conseguenza dell’organizzazione del mondo in Stati, in cui i confini culturali e politici combaciano; le società umane appartengono allo Stato tramite il legame di cittadinanza. Dunque, l’apolidia s’interseca con il discorso sulla nazionalità. La disciplina della nazionalità è stata da sempre considerata materia di dominio riservato degli Stati, ma a seguito dell’incremento dei flussi migratori e del rafforzamento della tutela internazionale dei diritti umani, la sovranità territoriale è stata erosa; il quadro giuridico per la prevenzione dell’apolidia è stato rafforzato e si è giunti a delineare nuove forme di cittadinanza post-nazionali, non esclusive. Il rapporto tra Stato e individuo si è rovesciato: non è la nazionalità che traccia i limiti giuridici entro i quali i diritti umani sono riconosciuti al cittadino, ma sono i diritti umani che, laddove sono universalmente riconosciuti, impongono allo Stato il superamento della differenziazione tra cittadino e straniero. Per questo motivo, sono sorte nuove forme di appartenenza, post-nazionale o transnazionale. Eppure, la cittadinanza statale non può essere del tutto rimpiazzata dalla cittadinanza globale. L’ordinamento internazionale richiede agli Stati di facilitare l’acquisizione della cittadinanza e di garantire la conservazione proprio di quel genuine link, che ha funzione ausiliatrice, per assicurare l'effettivo esercizio dei diritti e prevenire che qualcuno possa rimanere escluso dall'organizzazione statale.

L'apolidia nell'ordinamento internazionale, la rilevanza della cittadinanza per l'esercizio dei diritti umani

Polato, Margherita
2020/2021

Abstract

La tesi si propone di affrontare il tema dell’apolidia, ovvero la circostanza di vita di coloro che non sono considerati cittadini dalla legislazione di alcuno Stato. Nel corso del Novecento, questo fenomeno ha raggiunto la sua massima manifestazione e ancora oggi si stimano 10 milioni di persone apolidi nel mondo, perché molte legislazioni nazionali sulla cittadinanza prevedono ancora disposizioni discriminatorie: ad esempio, la donna è impossibilitata nel trasmettere la propria cittadinanza al figlio. Più precisamente, la maggior parte delle popolazioni apolidi si sono formate in seguito alla dissoluzione di Stati, ad esempio, dell’ex Jugoslavia o dell’ex Unione Sovietica; oppure, sono persone divenute apolidi in seguito a conflitti armati, ad esempio, originarie dei territori palestinesi occupati da Israele, o dei territori dell’Eritrea e dell’Etiopia. L’apolidia è originata dall'azione dei governi ed è conseguenza dell’organizzazione del mondo in Stati, in cui i confini culturali e politici combaciano; le società umane appartengono allo Stato tramite il legame di cittadinanza. Dunque, l’apolidia s’interseca con il discorso sulla nazionalità. La disciplina della nazionalità è stata da sempre considerata materia di dominio riservato degli Stati, ma a seguito dell’incremento dei flussi migratori e del rafforzamento della tutela internazionale dei diritti umani, la sovranità territoriale è stata erosa; il quadro giuridico per la prevenzione dell’apolidia è stato rafforzato e si è giunti a delineare nuove forme di cittadinanza post-nazionali, non esclusive. Il rapporto tra Stato e individuo si è rovesciato: non è la nazionalità che traccia i limiti giuridici entro i quali i diritti umani sono riconosciuti al cittadino, ma sono i diritti umani che, laddove sono universalmente riconosciuti, impongono allo Stato il superamento della differenziazione tra cittadino e straniero. Per questo motivo, sono sorte nuove forme di appartenenza, post-nazionale o transnazionale. Eppure, la cittadinanza statale non può essere del tutto rimpiazzata dalla cittadinanza globale. L’ordinamento internazionale richiede agli Stati di facilitare l’acquisizione della cittadinanza e di garantire la conservazione proprio di quel genuine link, che ha funzione ausiliatrice, per assicurare l'effettivo esercizio dei diritti e prevenire che qualcuno possa rimanere escluso dall'organizzazione statale.
2020-11-12
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/20.500.14247/1134